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venerdì 6 aprile 2018

SCIMMIETTE E SCIENZIATI: DALLA CINA SENZA AMORE




   I fatti: il 24 gennaio 2018, sulla prestigiosissima rivista Cell, l’Istituto di Neuroscienze dell’Accademia delle Scienze a Shanghai comunica la nascita, a due settimane l’una dall’altra, da due madri surrogate,  di due cucciole di macaco, frutto di clonazione; sono stati dati loro i nomi di Zhong Zhong e Hua Hua, in orgoglioso onore delle loro origini: Zhonghua, spiegano, significa infatti “popolo cinese”.
Tappa importante di un percorso avviato da molti anni: era il 1999 quando ebbe luogo la prima clonazione, in Oregon,  di Tetra, un’altra femmina di macaco, ottenuta però con una metodica diversa, vale a dire con la scissione dell’embrione che imita l’origine naturale dei gemelli omozigoti. La nuova tecnica, che gli scienziati indicano con la sigla SNCT (trasferimento nucleare da cellule somatiche), è invece quella che aveva dato vita nel 1996 alla famosa pecora Dolly (per la cronaca, “abbattuta” a circa 7 anni di età a causa di complicazioni di un’infezione e finita imbalsamata al National Museum of Scotland) a cui ha fatto seguito la clonazione di altre 23 specie di mammiferi: maiali, gatti, cani, ratti….; con l’Italia all’avanguardia  grazie al toro Galileo, alla cavalla Prometea e a un rinoceronte bianco.
Perché tanto clamore allora? Perché oggi si è ottenuto quello che con i primati era sempre fallito, e che permetterà, a detta degli scienziati, la creazione di un “esercito di scimmie” a fronte dei solo 4 cloni permessi dalle metodiche precedenti; ma soprattutto perché le scimmie sono “così vicine all’uomo”, come ha esclamato il cardinale Elio Sgreccia, paventando il possibile, diciamo pure probabile, passaggio alla clonazione umana, sulla scorta di quello che un altro cardinale, Angelo Bagnasco definisce “delirio di onnipotenza” . Tra gli scienziati sono quelli di area cattolica ad esprimere critiche, intravedendo ambizioni faustiane  dietro gli scopi filantropici, mentre gli altri esultano in nome della scienza o, se mai, come fa il ricercatore Cesare Galli, lamentano polemicamente quelle che ritengono restrizioni (sic!) ingiustamente imposte alla ricerca italiana.  Grandi assenti nel dibattito, che si snoda tra timori etici totalmente antropocentrati ed  entusiasmi scientifici, sono loro, le protagoniste perplesse e inconsapevoli su cui tutta la partita si gioca: una partita tutt’altro che piacevole dal momento che sono destinate a fungere da “modelli” per lo studio di malattie (Parkinson, Alzheimer, tumori, malattie del sistema immunitario e metabolico…) che quindi dovranno essere fatte insorgere sui loro corpicini. Insomma: animali da laboratorio da far crescere per un po’ in ambienti totalmente protetti, quanto più possibile sterilizzati affinchè, non sia mai, non si ammalino di alcunchè, per poi procedere scientemente a farle ammalare di patologie che presumibilmente in natura non potrebbero mai sviluppare. L’auspicato esercito di loro omologhe permetterà magari anche un po’ di tranquillità nell’uso, qualche spreco, qualche generosità nell’impiego del “materiale”, che ci si va assicurando abbondante.
E’ in onda la reificazione totale di questi animali: “prodotti”, allevati, usati, fatti morire in nome dell’assoluto interesse umano, in spregio totale di una qualunque delle loro esigenze etologiche, a fare inizio da quelle delle madri surrogate, da cui vengono subito allontanate, per continuare con quelle connesse alle loro prime fasi di vita in cui, come per ogni mammifero, sarebbe fondamentale il contatto fisico con la madre, fonte di calore, rassicurazione, protezione, cura, affetto. Tutto già visto in ogni esperimento a cui venga data visibilità, cosa non comune in quanto lo scudo delle necessità scientifiche tiene in genere lontani occhi e orecchie indiscrete da quelle che facilmente potrebbero essere giudicate mostruosità. Inevitabile ripensare ad Harlow e ai suoi macabri esperimenti, negli anni ’60 del secolo scorso,  sui piccoli macachi privati delle cure materne: sofferenti, disperati, disposti a barattare il latte per  un po’ di morbidezza fasulla da parte di un peluche. Oggi rivediamo il film già visto: unica consolazione per ciascuna delle scimmiette cinesi è la presenza dell’altra: le foto le ritraggono spesso abbracciate, vicine, a cercare rassicurazione nell’altra uguale a sè, ugualmente fragile, pollice in bocca e sguardo mobile su  qualche brandello di realtà, per loro fortuna ancora indecifrabile, almeno per un po’. Intorno tutta una miriade di peluches colorati, risarcimento a prezzi di realizzo delle loro vite scippate.
Ora, in questo contesto, l’animata discussione sulle potenziali  implicanze etiche che lo sviluppo della situazione potrebbe comportare, è già all’origine di una forma di mistificazione della realtà: sostenendo che  nel futuro, con il passaggio all’uomo, potrebbero insorgere questioni morali implicitamente si nega che le questioni morali siano invece già insorte, con l’uso e l’abuso stesso delle due scimmiette; lo si fa in totale rimozione e negazione del  dibattito che da anni oppone il vivisezionismo all’antivivisezionismo etico contestualmente agli approfondimenti etologici che non lasciano il minimo dubbio che quelli che loro chiamano modelli siano in realtà esseri senzienti, dotati di consapevolezza.
Le forme della comunicazione sono funzionali allo scopo da perseguire, che è la sterilizzazione di ogni pensiero relativo alla sofferenza di Zhong Zhong e Hua Hua: nelle parole di Giuliano Grignaschi, responsabile del benessere animale (sic!) dell’istituto Mario Negri, si legge che “si ridurrà il numero di campioni impiegati per fare le misure e, di conseguenza, il numero di animali sacrificati per ogni singolo esperimento”. Davvero un capolavoro comunicativo: in primo luogo si fa sapere che il successo scientifico va nella direzione di una diminuzione degli animali usati nei laboratori: nessuna indicazione sul numero di loro di cui ogni esperimento necessiterà, né a quali e quante sofferenze saranno sottoposti: l’uno e le altre potrebbero essere enormi, ma viene richiamata  solo la loro riduzione,  da offrire ad un’opinione pubblica che si sa sempre meno sprovveduta e sempre più sensibile ad un’informazione, o meglio ad una controinformazione la cui credibilità è sorretta da reportage, immagini, video, che raccontano una realtà ben diversa da quella ufficiale.  Non solo: nel comunicato gli esseri animali, soggetti della sperimentazione, vengono designati con il nome di “campioni”, ridotti quindi al loro uso (e abuso) identificato con la ragione stessa del loro esistere, che scalza la loro natura di esseri senzienti. Esattamente come le mucche da latte esisterebbero per compiere la mission ineludibile di consegnarci il latte in realtà destinato ai loro vitelli e gli animali da pelliccia per essere scuoiati in nome della nostra vanità, le scimmiette sarebbero campioni da usare in laboratorio. Nè può mancare da parte del Grignaschi il trito riferimento al “sacrificio” che  ogni esperimento pretende, con quel richiamo al sacro, a cui la parola stessa rimanda, che  suggerisce  una sorta di libera scelta da parte delle vittime all’autoimmolazione. Quali equilibrismi verbali sono necessari per sdoganare inaudite sofferenze dal pulpito di difensore del “benessere animale”! Anche il Sole 24ore sa bene monopolizzare la direzione dell’informazione: “Scimmie clonate, nuova tappa per la cura di Parkinson, Alzheimer, tumori” scrive il 25.01.2018 : e punta l’obiettivo su un orizzonte ottimista in cui la cura di malattie, che invadono con il loro carico ansiogeno l’universo delle nostre paure, avanza verso possibili successi; tanto basta perché le piccole  e spaventate Zhong Zhong e Hua Hua. tornino ad essere semplicemente “scimmie clonate”, sorta di marziani irraggiungibili dalla nostra empatia.  
Insomma: da parte dei media un ottimo lavoro di desensibilizzazione, che, pur nella sua efficienza, non riesce però ad impedire una sorta di sbigottimento che invade parte di noi alle parole del senatore radicale Marco Perduca (Huffington Post 26.01.2018), il quale si augura “che Zhong Zhong e Hua Hua  prendano il posto dei tanti gattini che infestano i social, perché sono i veri migliori amici dell’uomo”, augurio che interroga ferocemente su quale sia il concetto di amicizia che alberga nella testa e nel cuore del senatore, che si spera abbia straparlato in un momento di confusione. Perché se invece è davvero l’universo di dolore che stiamo approntando per le due scimmiette ciò che riserviamo ai nostri migliori amici, davvero bisognerà convincersi che  davvero non ci sono più speranze per l‘umanità.

2 commenti:

  1. Pochi, tra quelli che non conoscono l’argomento ‘sofferenza animale’ , leggeranno questa riflessione dolorosa così reale da evitarla, se nemmeno le foto delle scimmiette urlanti con il cervello aperto o quelle immobilizzate in marchingegni di ferro arrivano a scalfire la fredda coscienza dei molti. Mi chiedo se davvero per questi ‘umani’ l’unico modo di capire o sentire sia proprio quello di metterli al posto di quelle creature ! Ma non so, sono confusa ... avrebbero una minima speranza di ricredersi ? O la loro indifferenza si trasformerebbe in rabbia ancora più feroce della loro astuta ignoranza autoconservatrice ...

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    1. Che dire? Bisogna fare i conti con il sadismo, con la convinzione che gli animali esistono per essere sfruttati e uccisi, con l'abitudine a volgere la testa dall'altra parte perchè tanto non ci possiamo fare niente, con la delega morale a chi detiene responsabilità e via dicendo. credo comunque che l'unica cosa da fare sia fare ognuno la propria parte, fino in fondo, nel migliore dei modi possibile.Quanto a provare sulla propria pelle quello che si fa provare agli altri, temo non funzioni: il rischio è che venga semplicemente interiorizzato lo schema vittima-carnefice e che il problema sia solo riuscire ad essere dalla parte del più forte. Grazie del tuo commento. Annamaria

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