Il 31 marzo 2016 a Roma al Circo Massimo ha avuto luogo un Ivory Crush, evento
straordinario, almeno per l’Italia: un grande rogo ha bruciato, dopo averli
triturati, quintali di avorio
sequestrati a trafficanti e cacciatori nonché tutti quegli oggetti in avorio che
turisti poco responsabili o pentiti si sono portati dai loro viaggi esotici o,
molto più semplicemente, qualcuno ha comperato
in negozi, che tranquillamente ancora li vendono e che, ahimè, non
mancano sul patrio suolo.
L’avorio
è finalmente diventato politicamente scorretto e bruciarlo sulla pubblica
piazza è un modo prima di tutto per impedirne definitivamente un ulteriore
commercio, secondariamente per dare visibilità e risonanza ad una realtà,
quella dello sterminio degli elefanti, che colpevolmente tarda a entrare nella testa
e nelle coscienze della gente: richiama altresì altre cerimonie analoghe in cui
non ci si limitava a distruggere qualcosa (o qualcuno!), ma si voleva distruggere l’idea stessa, annientare, liberarsi anche dei
miasmi postumi: per secoli si sono fatti roghi di streghe, e poi si sono
bruciati libri pericolosi; ora finalmente è l’avorio, oggetto di precedenti
Ivory Crush a partire dal 1989 in Kenia, a New York, in Mozambico….: ad imporre
l’insolita cerimonia è la tragedia che
vede un numero enorme di elefanti uccisi ogni anno, in un balletto di cifre che
si misura comunque in alcuni esemplari uccisi ogni ora (!!!) , e che ci parla del
loro numero ridotto dai 27 milioni del 19° secolo agli attuali 350mila con una
previsione di estinzione nel giro di pochissimi decenni, forse anni: 2050? 2025?