mercoledì 15 luglio 2015

COCCODRILLI, non CROCOBURGER




      “Cinturini” li chiamano i lavoratori e i dirigenti che si occupano dell’uccisione dei coccodrilli: “cinturini” perché in loro è questo che vedono, il prodotto della loro trasformazione in oggetti di consumo, tanto pregiati quanto inutili. Niente di nuovo sotto il sole: agli animali, quale che sia la specie di appartenenza, viene negata la natura di esseri viventi, senzienti, sofferenti, belli e speciali come ogni animale è. Il processo di reificazione comincia subito, molto prima che siano uccisi perché è proprio questo il modo per procedere con noncuranza alla loro eliminazione: non bisogna vedere  quello che sono, ma quello che, grazie a noi, diventeranno. Il linguaggio non è certo neutro né casuale, che anzi  dà forma al pensiero: loro sono borse, cinture, scarpe, valigie per umani ingordi di lusso e mai sazi: ma parlare di “cinturini” fa di più, perché è termine funzionale al  processo di offesa e denigrazione; grandi e forti quali sono, minacciosi persino, originali nell’aspetto così peculiare, non solo vengono ridotti e mistificati in oggetto, ma l’oggetto deve essere piccolo, irrisorio, antitesi alla loro imponenza.

Per la descrizione dettagliata del processo di trasformazione in tali articoli, si rimanda ad altra sede: qui basta ricordare, tra gli strumenti in uso,  le pistole pneumatiche a bulloni a perforare la corazza squamosa, i taglierini, le aste di metallo ad attraversare le vertebre per raggiungere il cervello: ma tanto altro ancora. Tutto ciò quando ancora sono cuccioli, stipati in luride vasche, che ci si trovi nel centro dell’Africa nera, Zimbawe in testa, in una geografia in genere sconosciuta che impariamo a conoscere ogni qualvolta se ne presenti un tornaconto, o nelle assolate pianure texane della civilissima America. Ogni continente è paese quando si tratta di infierire su altre specie, snaturarle, schiavizzarle, trucidarle e goderne i vantaggi.
Il fatto nuovo, che ci raggiunge grazie all’EXPO di Milano, grande evento sull’alimentazione sostenibile (e mai espressione fu più estranea alla realtà), è la proposta dei coccodrilli  quale cibo anche per noi, italiani ed europei che ad oggi ce ne siamo in genere astenuti non certo per rispetto, che siamo bravi a bypassarlo se solo c’è qualche vantaggio in vista, ma per distrazione, per dimenticanza, per lontananza dai luoghi della loro “produzione”. La vetrina internazionale sull’alimentazione, quella sostenibile appunto, arriva in soccorso ed  educa a mangiare ogni forma di vita animale, tanto meglio se insolita, e va a  supplire a quelle stupide omissioni che ad oggi ci hanno tenuto lontano da tanto ben di Dio, ricco di omega 3, 6, 9 e proteine a non finire, come si affrettano a spiegarci. E allora ecco una tonnellata di filetto di alligatore ( “crocoburger” è il simpatico nome con cui già lo chiamano i novelli estimatori) divorata in 24 ore, per la gioia del console africano e dei ristoratori italiani, già eccitati dal  business inaspettato che vedono prendere forma davanti ai loro occhi.  
Ce ne è a sufficienza per soffocare nel disgusto, ma siccome si può sempre fare di meglio, non facciamoci mancare niente: e pensiamo ai bambini: i quali, si sa, sono attratti dagli animali, da tutti, ma da qualcuno un po’ di più. E il coccodrillo, che si arrabbia ma non strilla, sorseggia camomilla, si dice mangi troppo, non metta mai il cappotto, e pianga spesso le sue famose lacrime poco credibili, è fatto apposta per attrarre l’attenzione infantile e nutrire la fantasia, così lungo e sinuoso come è, corazzato, maestoso, silenzioso e strisciante. E allora ecco un grande coloratissimo pupazzo di peluches nello stand dello Zimbabwe tutto dedicato a loro: che ne sono ovviamente attratti e, ci possiamo scommettere, sollecitati   da genitori sorridenti e condiscendenti ad avvicinarsi a lui, a toccarlo, magari a parlargli come si fa con un amico già conosciuto da lontano.  La grande mistificazione è in atto: il pupazzo tiene  tra le zampe forchetta e coltello e al collo un tovagliolo: insomma non vi è traccia in lui della vittima sofferta e oltraggiata, perché invece è lui, nella rappresentazione, a sedersi a tavola e mangiare con robusto appetito: che cosa, o chi, mangi non è dato sapere. La realtà è negata e trasformata nel suo contrario: operazione necessaria, perché la rappresentazione veritiera sarebbe orrenda e spaventosa per qualsiasi bambino, oltre che per qualsiasi adulto che conservasse traccia di empatia. Mai Jung ebbe più ragione con la sua teoria dell’Ombra, tanto più profonda e oscura laddove il fascio di luce è più forte. Così, in un’atmosfera colorata e festosa, insieme ad adulti responsabili delle proprie azioni, saranno tanti i bambini a mangiare, senza rendersene conto, qualche pezzo di un loro beniamino, uno di quelli che avevano guardato salire in coppia sull’Arca di Noè, insieme a tanti altri: e salvarsi dal diluvio. Giusto per entrare nei panini dell’EXPO di Milano.
Mangiare carne di coccodrillo non è più osceno che mangiare quella di vitello o di maiale: a risultare intollerabile è però l’amplificazione del raggio d’azione ad includere specie che, nel nostro immaginario, non sono mai state cibo. E’ in atto un’operazione mastodontica, aggressiva e sfacciatamente insolente, che celebra l’antropocentrismo al di là e al di sopra dei pur timidi limiti proposti dalle diverse culture, ognuna delle quali per tradizione, abitudine, convinzione salvaguarda almeno alcune delle specie viventi. Intollerabile è che ciò abbia luogo sotto l’egida di una manifestazione che parla di alimentazione sostenibile e che, neppure per un attimo fuggevole, è in grado di distinguere ciò che è cibo da quelli che sono gli esseri senzienti da cui è ottenuto. Intollerabile è che, ancora una volta, anche il mondo dell’infanzia sia il terreno su cui si gioca il gioco sporco dell’imbroglio, quell’imbroglio tutto teso a nascondere l’orrore “annidato” dice Anna Maria Ortese “nel vivere universale” per cui “si spiegano cose eccelse quando si spiega la propria forza su esseri inermi”: ma in fondo le uniche cose eccelse ad altezza di EXPO sono proteine e omega 3.

4 commenti:

  1. Questo articolo dovrebbe essere letto da chi ha a cuore l'educazione dei piccoli e futuri cittadini ma anche da chi per vocazione è solito ricordare "lasciate che i bambini vengano a me" e che in questa occasione non solo non aprono bocca ma accolgono in silenzio il dispregio della vita umana (dei bambini) e non umana (dei coccodrilli), entrambi le specie "creati da dio", quel dio che, se dovesse esistere, lo rappresentano troppo indegnamente su questa terra.

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  2. Come darti torto Gianluca? Ognuno ha le sue responsabilità: chi detiene poteri forti ha responsbilità conseguenti. Chi predica la nonviolenza non può permettersi di essere violento, se vuole essere credibile. Se poi non si riconosce la violenza sugli animali, vuole dire che di strada da fare ce ne è davvero tanta.

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  3. E' vero che mangiare carne di coccodrillo non è più osceno che mangiare carne di qualsiasi altro animale. E' un ragionamento che va fatto anche per la carne di cane quando ci scandalizziamo per il consumo di carne di cane in certi paesi del mondo. Tuttavia, vedere il coccodrillo infilzato, arrostito, cotto e superfotografato nello stand dello Zimbawe mi fa letteralmente piangere. Sarà che non sono abituata a vederlo. E' vero che pure io che non ho mai mangiato animali ho fatto "l'abitudine" a vedere suini, bovini, polli... a pezzi sulla tavola e considero dura la battaglia da fare per evitare questi orrorri. Vedere introdurre con grande successo il consumo di carne di coccodrillo in Italia a una manifestazione mondiale è un enorme passo indietro. Il coccodrillo di peluche è il solito disastro pedagogico, qui ingigantito, che si vive in ogni casa: maialino di peluche nel letto, maiale morto nel piatto. I bambini e le bambine subiscono un vero maltrattamento ma pare che sia tutto regolare.

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    1. Si, il problema è la novità: ai cadaveri infilzati dei coccodrilli non siamo abituati. Ci pensa ora EXPO ad insegnarci a non inorridire. E' uno scandalo assoluto, una vergogna.

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