giovedì 20 giugno 2013

VUOI ATTACCARE L'ALTRO? PARAGONALO AGLI ALTRI ANIMALI



     

Ci risiamo, niente di nuovo sotto il sole, corsi e ricorsi storici, dejavu che stancamente si ripetono.
La nuova campagna della Confederazione  Elvetica contro gli stranieri che rubano il posto di lavoro a chi è nato sul suolo patrio (no! Non stiamo parlando dell’Italia: potrebbe sembrare, ma non è così) si intitola BALAIRATT, ballano i topi: e tre topastri incarnano lo sporco spregevole che viene da fuori, dalle altrui fogne: la soluzione? Ovvio: derattizzare.
Di tutto si può accusare questa campagna tranne che di originalità: l’altro, il diverso, lo straniero, e poi piano piano a seguire il nemico, quello da cui guardarsi e quello da eliminare, ha le fattezze di un animale. Il meccanismo è funzionale ad accentuare le differenze: tanto maggiori queste sono, tanto più forte è l’identificazione con il  proprio gruppo di appartenenza, che spesso non ha altri elementi di coesione se non la distanza da altri.
Tali metafore divampano soprattutto nel corso delle guerre, quando i freni inibitori di qualsiasi tipo collassano, e la necessità di sollecitare aggressività e violenza diventa fondamentale, ma non sempre facile, dal momento che il nemico è identificato come tale dalla classe al potere, ma non da chi deve andare a ucciderlo.
La costruzione del nemico può ricorrere ad  immagini che solleticano azioni e reazioni violente;  ecco allora le metafore animali servire allo scopo: gli animali più gettonati sono i maiali, i cani che devono essere rabbiosi o rognosi, i topi, gli scarafaggi, le formiche. Per limitarci alla storia moderna, Martin Lutero chiamava maiali gli ebrei;  gli indiani del nord America venivano definiti lupi, serpenti e babbuini;  la propaganda nazista equiparava gli ebrei a topi da stanare;  Mussolini preferiva le cimici slave; i giapponesi si riferivano ai cinesi come a maiali; tacchini vennero chiamati gli irakeni nella guerra del Golfo e scarafaggi i Tutsi ad opera degli Hutu.
Tutti animali sui quali è già stata compiuta un’operazione denigratoria e svilente: si tratta di esseri la cui rappresentazione fa riferimento ad un mondo di bassi istinti, di sporcizia e luridume, di sozzeria e pericolo. Liberarsi di loro non coincide allora più con il concetto di assassinio, ma diventa operazione di pulizia meritoria e necessaria : bisogna ripulire, ributtare nelle fogne, schiacciare sotto i piedi. Eliminare creature tanto spregevoli non è fonte di tormento, non comporta responsabilità morali, ma serve alla costruzione di  un mondo migliore.
Quindi gli uomini rappresentati come animali diventano bersaglio di denigrazione e violenza , ma solo perché un’altra ingiustizia è già stata perpetrata preventivamente: quella per cui maiali, ratti , cimici e tanti altri sono loro stessi denigrati e trasformati nell’immaginario umano da ciò che sono, vale a dire esseri in sintonia con le proprie caratteristiche di specie,  in ricettacoli di brutture.
Solo la non conoscenza, il non contatto, l’autarchia intellettuale permette che ciò avvenga e consente ai più privilegiati tra gli animali umani la conservazione della propria posizione di predominio.  
Solo la contaminazione, la conoscenza, l’umiltà intellettuale potrebbero consentire che i più privilegiati tra gli animali umani prendessero atto dell’incredibile complessità delle altrui vite, che, a saperle guardare, sono fonte inesauribile di meraviglia e di incanto.

 (Pubblicato su Liberazione,  8 ottobre 2010)

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