giovedì 20 giugno 2013

SAGRA "DEI OSEI"



SPETTACOLO VIETATO AI MINORI   

L’empatia è la capacità di mettersi nei panni degli altri, di sentire in una sorta di risonanza interna quello che l’altro sente: è facoltà formidabile perché dà la possibilità di prendere atto di qualche cosa che sta succedendo ad un altro, indipendentemente da un’analisi critica e razionale, per la quale si possono non avere adeguate competenze, e di fornire un tipo di conoscenza completa, perché immette nel mondo delle emozioni e dei sentimenti, che sono parte imprescindibile della possibilità di capire.
Gli studi al proposito, proprio in virtù dell’enorme importanza che essa riveste a livello personale e relazionale, procedono incessantemente: la più recente scoperta a cui hanno condotto, in Giappone,  è che  bimbi di 10 mesi (esatto: di dieci mesi!)  sono in grado non solo di cogliere nessi di causalità tra diverse azioni, ma addirittura, in situazioni adeguatamente strutturate, di esprimere preferenza e tifo per chi rappresenta la vittima rispetto a chi  è tormentatore: in altri termini le radici primigenie dell’empatia e del senso di giustizia sarebbero precocissime, inscritte nella nostra natura biologica.
L’informazione è tale da modificare in senso vagamente ottimistico l’idea svilita e mortificata di noi stessi e dell’umanità in generale di fronte al disastro ben visibile intorno a noi e a noi del tutto imputabile. Accanto alle ottime considerazioni che ci consentono di pensare ( illuderci?) che, stando così le cose, forse non tutto è perduto, che c’è ancora spazio per tentare un riscatto dal male profondo che popola questo nostro mondo, l’informazione comporta anche una doverosa presa d’atto della responsabilità che abbiamo verso le nuove generazioni che, biologicamente in grado di rendere il mondo un posto migliore di quello che è, possono d’altro canto a causa nostra divenire bersagli di  input tali da invertire malauguratamente la  rotta.
Anche la sagra dei osei in questa dinamica fa la sua parte, parte che sarebbe ingiusto sottovalutare. Questa, come tutte le sagre, è anche luogo di ritrovo e di festa dove portare i bambini, che ne costituiscono di conseguenza pubblico privilegiato. Mettiamoci allora per un po’ dal loro punto di vista, usando quell’empatia di cui anche noi adulti, per quanto deteriorati possiamo essere, non possiamo non  conservare traccia: cosa vedono i loro occhi? Vedono “osei”, alias uccelli, uccellini, volatili di ogni specie, grandezza e tipo chiusi dentro gabbie; gabbie numerose, l’una sopra all’altra e l’una di fianco all’altra, a formare un enorme reticolato che separa la vita articolata e ricca del di fuori dalla coercizione e dai limiti del di dentro. Vedono animali  variamente stipati, a volte immobili, a volte soggetti  a stereotipati nervosi movimenti del capino; vedono bestioline ferite  e lasciate lì; altre che si indovinano collassate dal caldo; altre ancora che sbattono infinite volte contro il metallo delle gabbie.  Vedono una realtà fatta di  reclusione, imprigionamento, isolamento dal contesto naturale; di impossibilità a fare quello che gli uccelli per definizione fanno: volare,  che è di certo cosa buona e bella, tanto che  noi umani gliela  invidiamo e  in mille modi cerchiamo artificiosamente di riproporla, pur non essendo certo stati attrezzati dalla natura a farlo. E invece no, a loro non glielo facciamo fare: sole, luce, rami da raggiungere, giochi a rincorrersi, amoreggiare e litigare nell’aria, tutto rigorosamente vietato a tutto vantaggio di una stolida carcerazione di loro che sono detenuti senza colpa. Magari vedono, i bambini,  anche un prezzo esposto sulla gabbia, tanto per fugare ogni dubbio: noi gli uccelli li vendiamo e li comperiamo, li rinchiudiamo e li spostiamo dove vogliamo.
I bambini,  lo si è detto, possiedono senso di giustizia innato, si inteneriscono, tifano per il più debole, si oppongono a modo loro ai soprusi mettendosi fianco a fianco di chi li subisce. E commoventi sono gli esperimenti che hanno condotto a queste teorie, esperimenti che impiegano cerchi quadrati e triangoli di cartone che si attaccano, si difendono o fuggono. Bene: se è già nella primissima infanzia che si coglie l’arbitrio e l’ingiustizia del quadrato che attacca il cerchio, o del triangolo che sfugge al quadrato, è del tutto certo che esserini in penne e ossa sono in grado di mobilitare simpatia e tifo, perché la loro condizione di vittime è percepibile grazie al linguaggio del corpo, se solo si ha voglia di osservarlo e decodificarlo. Non è del resto raro vedere bambini che si rivolgono ai loro genitori e fanno domande, indicando con il ditino  e corrucciando la fronte, qualche volta piangendo. Ed eccola allora la forza dell’educazione intervenire con le parole a completare il lavoro già fatto grazie all’offerta di un opportuno  modello di comportamento: se l’adulto davanti allo spettacolo ignominioso degli uccellini prigionieri passeggia sorridendo, ha già predisposto uno schema intrerpretativo di straordinaria forza: ha offerto una chiave interpretativa, una lettura della realtà in grado di scardinare quella opposta che aveva cominciato a dimorare nella testa del bambino: il messaggio elementare è che va tutto bene, è tutto a posto, è così che le cose devono stare: non c’è nulla di cui preoccuparsi,  ci si può divertire e godersi  la giornata.
L’impatto è enorme, come è facile capire sulla base del senso comune, ma anche di  tante ricerche. Basta pensare che studi adeguati hanno dimostrato che sotto i bombardamenti della seconda guerra mondiale i bambini che avevano potuto contare sulla protezione di genitori in grado di filtrare l’interpretazione della realtà in senso rassicurante non mostravano le conseguenze prevedibili di quelli che avrebbero potuto essere traumi; i bombardamenti non erano più tali, non c’era alcun pericolo, lo dice la mamma, il papà lo sa bene; e se loro si mostrano così tranquilli, io ne sono certo. E’ il meccanismo così sapientemente raccontato da Roberto Benigni in “La vita è bella”: persino la tragedia dei campi di concentramento può essere cancellata e ricostruita con altre connotazioni da un padre protettivo, che rovescia l’interpretazione della realtà.
Se i meccanismi sono coì potenti, non c’è proprio da stupirsi: la realtà delle gabbie degli uccellini è mistificata dalla serenità degli adulti, che raccontano ai bambini la loro verità. Bisognerà aspettare lo sviluppo del giudizio autonomo perché i nuovi giovani adulti possano rivisitare in senso critico queste interpretazioni, ma a quel punto molti danni saranno stati compiuti. I segnali degli animaletti saranno stati misconosciuti, disinterpretati, male intesi; saranno state bloccate le manifestazioni  di un’empatia pronta a manifestarsi.
Lo sanno gli adulti tutto questo? L’inconsapevolezza è dilagante tra molti; di sicuro ci sono  quelli  perfettamente integrati in una realtà gerarchizzata di cui non colgono neppure la conformazione; altri non hanno la minima intenzione di rinunciare ai vantaggi conseguenti ad una posizione di dominio e predominio, sulla natura, sugli animali, sugli altri.
Innegabili sono  le responsabilità individuali di chi si fa protagonista; ma di molte realtà è la comunità, la società a dover prendere  atto sulla scorta della consapevolezza che l’educazione ha un ruolo fondamentale che si esplica non solo sui banchi di scuola o attraverso tutti i quotidiani divieti imposti ai bambini, ma con i modelli di comportamento costantemente proposti. Fino a quando le società offriranno spettacoli di sopraffazione e prepotenza del più forte sul più debole come momento di spasso sarà tradito il ruolo stesso dell’educazione che per essere tale deve necessariamente contemplare il rispetto per l’altro come momento fondamentale, tanto più quanto più questo altro è diverso, debole, bisognoso di cure. In caso contrario la partita per un mondo migliore sarà già persa in partenza.
Gli animali per loro stessa essenza devono essere rispettati nei loro diritti e nelle gabbie non ci dovrebbero proprio stare; in attesa di gabbie doverosamente vuote, spettacoli quali la fiera dei osei dovrebbero essere vietati ai minori, in base a quella preoccupazione responsabile che induce a difendere il mondo dell’infanzia impedendo ai bambini  di vedere  quelle oscenità di cui gli adulti sembrano non poter fare a meno.
Per chiudere, un pensiero reverente al Jain Charity Birds Hospital di Nuova Delhi dove migliaia e migliaia di uccelli vengono ricoverati per essere  curati gratuitamente in un enorme ospedale pubblico, con l’unica condizione che, una volta guariti, non verranno restituiti  al loro “padrone”, ma alla loro vita libera, nei cieli di una città infinitamente più pietosa delle nostre. (Articolo scritto per Nosagraosei)

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